mercoledì 22 febbraio 2017

Migliore / Mattia Torre. Teatro Ambra Jovinelli, 19 febbraio 2017

Con Migliore si chiude il bellissimo speciale dedicato quest'anno dal Teatro Ambra Jovinelli a Mattia Torre.

A differenza che per Qui e ora e 456, conoscevo già questo testo, che avevo letto nel volumetto In mezzo al mare, contenente cinque atti comici dell'autore. Dunque in parte sapevo cosa mi aspettava, eppure devo dire che lo spettacolo ha avuto comunque la capacità di sorprendermi positivamente.

In spettacoli come questo ci sono due centri che devono fondersi per realizzare la massima riuscita: il testo e l'attore. E in questo caso la magia si può dire perfettamente riuscita.

Iniziamo dal testo.

Migliore racconta la storia di Alfredo, un bravo ragazzo che lavora al servizio clienti di una grande azienda che offre servizi di alto profilo per clienti con elevate disponibilità finanziarie.

Alfredo è un perdente, uno sfigato: il suo posto di lavoro è a rischio, la figlia del capo lo tratta come uno schiavo, i suoi vicini lo sbeffeggiano, la figlia della signora delle pulizie non si dà neppure la pena di salutarlo e gli operatori del camion dell'immondizia suonano da anni al suo campanello per farsi aprire, anche se lui a quell'ora potrebbe dormire. I suoi unici "amici" sono i componenti - un po' presuntuosi e un po' sfigati - di un'associazione con un approccio un po' alternativo e un po' new age.

Fino a quando un giorno, nel tentativo di portare al secondo piano la signora in sedia a rotelle perché l'ascensore del palazzo è rotto, Alfredo scivola e la signora muore. Nella lunga causa che seguirà, grazie all'intervento di un avvocato senza scrupoli, Alfredo viene completamente scagionato da qualunque accusa e può tornare alla sua vita.

Dentro di lui però qualcosa ha fatto clic. Il nuovo Alfredo - che è scampato a quella che sulle prime avrebbe concepito come una giusta punizione - non è più disposto a subire, a comprendere, a essere generoso con gli altri. Nuovi comportamenti - meno remissivi - si affacciano al suo orizzonte, prima per caso, poi sempre più volontariamente perseguiti. E man mano il mondo prima così ostile, umiliante e aggressivo, diventa dominabile e l'attenzione verso di lui cresce insieme alla sua capacità di concentrarsi su se stesso e di manipolare gli altri.

Ancora una volta - come già avevo notato in Qui e ora e in 456 - il testo di Mattia Torre utilizza un registro comico e chiama ripetutamente il pubblico alla risata; però, ad ogni risata sentiamo crescere il sapore amaro che accompagna la trasformazione di Alfredo da sconfitto di buon cuore a vincente sicuro di sé, ma anche cinico e sprezzante.

Le esperienze della vita ci cambiano, ci fanno crescere, ci consentono di superare i nostri limiti; e però nella metafora di Mattia Torre è inevitabile chiedersi che cosa ci perdiamo per strada. L'Alfredo perdente lo compatiamo e ne comprendiamo il dramma che lo ha reso tale e di cui in qualche modo non ha colpa; al contempo ci è insopportabile nella sua incapacità di ribellarsi alle angherie. Ma l'Alfredo "migliore", se da un lato ci trascina in un liberatorio percorso di riscatto, dall'altro ci mette di fronte al significato perverso di ciò che nella nostra società significa essere "migliori" e ci costringe a domandarci perché i vincenti ci piacciono, anche quando sono senza scrupoli.

L'altro centro di questa commedia è Valerio Mastandrea, un Alfredo personificato, eccezionale, capace di rappresentarne tutte le sfumature e le anime, di interpretarne il percorso e la trasformazione, nonché di incarnare - con tante voci diverse - tutti i suoi interlocutori, che sembrano quasi provenire dall'interno del corpo di Alfredo, risuonare nelle sue orecchie, entità immateriali che acquistano corpo solo nelle reazioni del protagonista.

Un'ora di grande teatro, che poi è quello che ti fa alzare dalla poltrona con sentimenti confusi, perché sembra averti preso in giro facendoti ridere su qualcosa che in realtà non è per niente divertente.

Voto: 4/5

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