domenica 30 ottobre 2016

Kicks. Little wing. Genius. Captain Fantastic.

Il bilancio di questa seconda giornata di full immersion - dopo la almeno parziale delusione di sabato – è ben più positivo. Del resto, per la domenica alla Festa del cinema avevo preso il biglietto di quello che sarebbe stato il film vincitore della rassegna Alice nella città e quello del vincitore del Premio del pubblico della rassegna maggiore. Inoltre, per andare sul sicuro avevo preso il biglietto di Genius, il film in uscita con Jude Law e Colin Firth. L'unica incognita presa un po' a scatola chiusa era Little wing, sempre della rassegna Alice nella città, ma quando arrivo all'Auditorium scopro che questo film è il vincitore del terzo premio della rassegna, il Taodue. E così mi preparo a una vera giornata di godimento cinematografico puro.

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Kicks

Il film vincitore della rassegna Alice nella città è l'opera prima di Justin Tipping.

Siamo in un quartiere a prevalenza nera a Richmond in California. Il protagonista di questa storia è Brandon, detto dai suoi amici B (Jahking Guillory), un ragazzo di 15 anni, tanti capelli ricci in testa, di statura bassa, con ai piedi le scarpe rotte risalenti alla scuola media.

Brandon, pur avendo due amici che gli vogliono bene, Rico e Albert, si sente più sfigato di qualunque altro ragazzo della sua età e pensa che l'unica soluzione sarebbe essere un'astronauta e vivere nello spazio dove nessuno ti rompe le scatole. Una soluzione più a portata di mano è invece trovare il modo di avere delle scarpe fighe come quelle dei suoi compagni. Un giorno finalmente il suo sogno si avvera e con le Air Jordan (modello n. 1) ai piedi si sente improvvisamente capace di qualunque cosa, e la sua autostima aumenta.

Peccato che dove vive Brandon ci sono gang che non aspettano altro che occasioni per prendersela con chi è più debole. Un giorno la gang di Flaco lo picchia e gli ruba le scarpe. Da questo momento per Brandon l'unico obiettivo sarà recuperare le sue scarpe e per farlo sarà disposto a tutto, anche a sacrificare la sua vita e quella dei suoi amici.

Kicks è un film che-  ancora una volta in questa festa del cinema - racconta una realtà di marginalità, dove non esistono le leggi e le regole normali della convivenza civile, ma solo la legge del più forte, di quello che porta la pistola in tasca e non ha nessun tipo di scrupolo morale né valore etico. Brandon e i suoi amici sono come tutti i quindicenni: parlano di sesso, di donne, di scarpe da ginnastica, si fanno le canne, raccontano le loro vere e meno vere imprese, ma vorrebbero solo essere se stessi ed essere lasciati in pace.

Ma non può essere così per chi come Brandon e come questi ragazzi vive in un posto di “frontiera”, dove il rap è l'espressione del disagio e le gang combattono la guerra della droga e si contendono il controllo del territorio, convivendo con l'uso delle armi fin dall'infanzia. Per Brandon e i suoi amici il recupero delle scarpe sarà una immersione completa in questo mondo folle ed estremo, in cui dovranno farsi le ossa per sopravvivere e da cui usciranno adulti e consapevoli di doversi difendere se necessario. Anche se avrebbero solo voluto fare la loro vita da adolescenti.

Bello. Intenso. Una telecamera accesa ancora una volta su una realtà che non conosciamo. Di cui ci arriva solo l'eco distorta della televisione. Cosicché in questo caso il cinema si fa più vero della cronaca.

Voto: 4/5



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Little wing

Siamo in Finlandia, ad Helsinki. Ma non nei palazzi di design del centro, bensì nelle case popolari della periferia. Qui vive insieme a sua madre Varpu (Linnea Skog), una ragazzina di 11 anni che ama andare a cavallo e vorrebbe conoscere il padre, di cui le rimangono solo delle foto.

Varpu va a scuola tutti i giorni da sola e da sola rientra dalle lezioni di equitazione, perché sua madre lavora come donna delle pulizie e per di più non riesce a prendere la patente. La madre di Varpu è una donna fragile e insicura, che tende alla depressione, e spesso è la figlia a farle da conforto e rifugio emotivo; cerca un uomo, perché si sente molto sola, ma forse non è ancora pronta ad amare perché non si fida di nessuno.

Il mondo di Varpu è quindi un mondo di grande fatica emotiva, che si scioglie solo durante le uscite notturne con gli amici del quartiere che la portano in giro a fare bravate e le insegnano a guidare la macchina, salvo poi rifiutarla quando non sta al gioco. Anche Varpu sente il bisogno di rifugiarsi in qualcosa e crede di poterlo fare nel padre perduto, che va a cercare da sola fuggendo da casa. Quando lo troverà penserà di aver risolto parzialmente i suoi problemi, ma dovrà rendersi conto che suo padre non ci sarà mai per lei, perché ossessionato dalle sue psicosi, e comprenderà che solo accettare se stessa e la verità della sua vita e farne una bandiera le può dare la forza e la fiducia in se stessa per affrontare il mondo.

Credo davvero che il filo conduttore del festival di quest'anno (o almeno di quanto ho visto io) sia la marginalità: bambini, ragazzi, quasi adulti che vivono in parti diverse del mondo, ma alle periferie delle loro società. Quei luoghi dove tutte le regole del gioco sono capovolte e tutto quanto è per noi scontato è il risultato di una faticosa conquista quotidiana. Bambini e ragazzi costretti a crescere troppo in fretta, con reti affettive fragili, con mezzi materiali limitati, ma con una straordinaria capacità di sopravvivenza e di costruzione della propria identità e umanità in condizioni limite.

Film apparentemente disperati, e invece dotati di una carica di speranza nella convinzione che non esiste un determinismo dell'esistenza tale per cui non ci sia una possibilità di scegliere di essere diversi da quello che il destino sembrerebbe averci riservato.

Voto: 3,5/5



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Genius


Ed eccomi, dopo Florence Foster Jenkins, al secondo filmone del festival, quello con gli attori famosi e grandi mezzi per raccontare le storie.

In questo caso si racconta la storia di Tom Wolfe (Jude Law), uno scrittore che dopo aver ricevuto innumerevoli rifiuti, suscita l'attenzione di Maxwell Perkins (Colin Firth), un editor della casa editrice Scribner's Son, che vede nel profluvio di parole di Wolfe una genialità di scrittura destinata a conquistare il pubblico.

Maxwell e Tom diventano amici, o forse ancora meglio si instaura tra di loro un rapporto padre-figlio, in cui Maxwell è il padre che tira fuori le migliori qualità del figlio scapestrato ma geniale. Intorno a loro, la compagna di Wolfe, che ha lasciato la sua famiglia per lui, e la famiglia di Maxwell non capiscono fino in fondo questa amicizia, e a tratti ne sono gelosi per l'esclusività e la passione per la scrittura che la caratterizza.

Il film di Michael Grandage è un classico prodotto della migliore industria cinematografica americana, che ci porta totalmente all'interno della New York della fine degli anni Venti, e si arricchisce delle sempre magistrali interpretazioni di Jude Law e Colin Firth, in due ruoli che sono perfettamente congeniali a entrambi.

Genius è dunque un film gradevolissimo, e non si può dire che si tratti esclusivamente di un biopic, dal momento che il regista non si sottrae all'approfondimento psicologico dei personaggi e del loro percorso, in particolare del percorso di Wolfe verso la consapevolezza dell'importanza delle relazioni umane.

Ciò detto Genius resta, secondo me, un prodotto convenzionale che non aggiunge molto alla cinematografia americana, se non l'occasione forse di farci riscoprire uno scrittore parzialmente dimenticato, fors'anche perché appartenuto all'epoca degli Scott Fitzgerald e degli Hemingway, anch'essi autori scoperti e portati al successo anche grazie alle capacità e alla dedizione di Perkins.

Ci sarebbe da chiedersi se il genius del titolo sia Wolfe oppure l'oscuro editor che ha fatto, grazie al suo lavoro, la storia della letteratura americana.

Voto: 3/5



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Captain Fantastic

Il fatto che Captain Fantastic abbia vinto il Premio del pubblico alla festa del cinema di Roma conferma che la parte più viva della rassegna romana è Alice nella città, visto che questo film di fatto era un prestito di Alice alla selezione principale. Del resto, avevo avuto questa sensazione anche lo scorso anno, e quest'anno ne ho semplicemente avuto conferma.

Captain Fantastic è la storia decisamente' surreale di una famiglia formata da un padre (Viggo Mortensen) e 6 figli, di età comprese tra i 6 e i 18 anni, 3 maschi e 3 femmine. Questa famiglia vive sulle montagne, tra le foreste, avendo scelto uno stile di vita il più possibile vicino alla natura e oppositivo dei meccanismi opprimenti del capitalismo e del consumismo. I nostri sette protagonisti vanno a caccia per procurarsi il cibo, fanno addestramento fisico ogni giorno, dedicano una parte del loro tempo allo studio, alla lettura e alla musica, e il rapporto tra il padre e i figli è improntato alla massima sincerità, anche di fronte alle questioni più delicate.

Quando la madre – ricoverata in ospedale – si suicida, Ben e i suoi figli si mettono in viaggio con il loro pulman "Steve" per andare ai funerali e tentare di far rispettare la volontà della donna di essere cremata senza alcun tipo di cerimonia religiosa. Questo viaggio sarà l'occasione per l'intera famiglia per confrontarsi con il mondo che sta fuori dalle loro montagne e anche per affrontare i nodi emotivi dei figli in relazione alla morte della madre, al rapporto con il padre e al proprio futuro.

Il modello educativo che Ben e sua moglie hanno perseguito mostra i suoi punti di forza rispetto a una società imbambolata, obesa e ignorante, ma anche i suoi punti di debolezza, perché come dice Bo, il figlio maggiore, loro sanno tutto quello che è scritto nei libri, ma niente di quello che succede nella realtà rispetto alla quale si dimostrano totalmente disadattati.
Arriverà dunque per Ben e i suoi figli la resa dei conti rispetto a se stessi e alla loro utopia.

Captain Fantastic è un film in cui si ride moltissimo, ma si riflette anche moltissimo. Strizzando l'occhio al mondo di Wes Anderson da una parte e alla sgangherata e tenerissima famiglia di Little Miss Sunshine dall'altra, il regista Matt Ross riesce in una operazione che nei suoi tratti parzialmente surreali e favolistici ci fa riflettere sul fatto che la follia di una scelta radicale come quella di questa famiglia sui generis non è in fondo molto diversa dalla follia collettiva delle presunte famiglie normali. E che evidentemente c'è molto da rivedere nei nostri modelli educativi e di vita, senza il bisogno di dover scalare una parete rocciosa sotto l'acqua, o di dover squartare un animale cacciato, o di dover sostituire i festeggiamenti del Natale con quelli del compleanno di Noam Chomsky. C'è della genialità in questo film.

Voto: 4/5

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