lunedì 29 agosto 2016

Le correzioni / Jonathan Franzen

Le correzioni / Jonathan Franzen; trad. di Silvia Pareschi. Torino: Einaudi, 2002.

So che pronuncio quasi una bestemmia nel dire che quello che è considerato il capolavoro di Jonathan Franzen non mi ha del tutto convinta.

Innanzitutto sono andata avanti a fatica nelle quasi 600 pagine di questo volume, in cui accanto al racconto - quasi sempre angosciante e senza speranza - delle vite dei componenti della famiglia Lambert - i genitori ormai anziani, Enid e Alfred, e i tre figli, Gary, Chip e Denise - non mancano digressioni, apparenti divagazioni, storie parallele ma non del tutto, sogni e pensieri più o meno allucinati, che contribuiscono a creare e a rafforzare l'atmosfera fosca che caratterizza l'intero romanzo. Un profluvio di parole, di metafore, di rappresentazioni verbali che a tratti ho trovato un po' stucchevole. Nonostante questo, e pur avendolo pensato più volte, non mi sono mai decisa ad abbandonare la lettura, poiché sono rimasta in qualche modo catturata nelle maglie strette di questa realtà familiare che, nella sua dimensione angosciante, è talmente normale da non poter non essere percepita come qualcosa che riguarda tutti noi.

La struttura narrativa de Le correzioni procede da un lato su binari paralleli, raccontando le storie dei singoli personaggi, prima Chip, poi Gary, poi Denise, e - tra l'una e l'altra delle storie dei figli - la vita passata e presente di Enid e Alfred, dall'altro lato in maniera ricorsiva, visto che nell'addentrarsi nelle vicende dei singoli si risale indietro nel tempo e poi si ritorna al presente fino a proiettarsi nel futuro, facendo incontrare queste vicende in maniera quasi imprevista.

I Lambert sono una famiglia di St Jude, nel Midwest americano: Enid ha il mito della famiglia unita, ma anche di una vita possibilmente agiata e serena, ma è costretta ad accudire un marito progressivamente sempre meno autonomo; Alfred è stato dirigente di una società ferroviaria ed è un uomo abituato a far funzionare le cose, a costruire un mondo senza sbavature grazie al lavoro personale, ora però ha il morbo di Parkinson, nonché una demenza progressiva e dei problemi alle gambe, e alterna momenti di dolorosa lucidità a veri e propri momenti di psicosi. Gary è un uomo di successo, con una moglie e tre figli, apparentemente il più riuscito dei figli Lambert, ma in realtà tende alla depressione ed è dipendente dal'alcol, nonché vittima della cattiveria della moglie e dei figli. Chip è un intellettuale che però si è rovinato la vita facendosi cacciare dal suo posto di lavoro dopo una storia con una studentessa, ha scritto una sceneggiatura che nessuno vuole e – dopo che la sua vita è naufragata – continua a inanellare una serie di tentativi fallimentari di raddrizzarla, dimostrando una reticenza quasi patologica alle responsabilità. Denise è una chef di successo, ma ha un matrimonio fallito alle spalle e una serie di storie sentimentali che non l'hanno portata da nessuna parte, è costantemente in competizione con il mondo per affermare se stessa, ma irrisolta nella propria sfera e identità sentimentale e sessuale.

Enid vorrebbe a casa per Natale tutti e tre i figli, ma - come di solito accade in questo topos della riunione familiare - le apparenze di normalità che Enid vorrebbe preservare a tutti i costi vengono messe in crisi dalle dinamiche individuali e familiari irrisolte.

Il motore immobile di questo “dramma senza tragedie” è Alfred, in particolare la sua malattia che nessuno dei membri della sua famiglia sembra voler accettare né essere in grado di farsene carico. E questo fino al Natale nella casa paterna durante il quale tutti dovranno fare i conti con l'ingestibilità di Alfred e verranno messi di fronte alla necessità di scegliere tra la propria vita e la presenza ingombrante del proprio genitore.

Il risultato non è solo la scontata messa a nudo delle ipocrisie borghesi che – dietro una facciata irrepresenbile – rivelano realtà ben più complesse e sofferenti, bensì anche il coacervo di sensi di colpa, egoismo, cattiveria, obblighi, di cui i legami familiari sono inevitabili conduttori.

Il mondo di Franzen e de Le correzioni è un mondo di sostanziale infelicità e tristezza, che fa ancora più paura perché tale infelicità non è determinata da eventi tragici o sfortunati, da situazioni palesemente dirompenti, bensì dal lavorio quotidiano che l'esistenza stessa di una famiglia e la sua evoluzione portano con sé. E questo non può lasciare indifferente nessun lettore.

Non originalissimo nella sua estrema sintesi narrativa, verboso e virtuosistico nel linguaggio, il libro di Franzen lavora sotto pelle senza conquistare, ma lasciando il segno.

Voto: 3/5

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