sabato 27 febbraio 2016

Lo chiamavano Jeeg Robot

Cosa accadrebbe se spostassimo un supereroe alla maniera di Ironman, Spiderman, Superman o Batman da Metropolis, Gotham City e qualunque altra variante più o meno fantastica della città di New York nella più dura e squallida periferia romana? Questa è l'idea geniale del soggetto che Nicola Guaglianone ha sviluppato per questo freschissimo (in quanto davvero originale nel nostro panorama cinematografico) film italiano. E lo stesso Guaglianone, insieme a Menotti, ha scritto una frizzante sceneggiatura, orchestrata con grande intelligenza dal registra Gabriele Mainetti alla sua opera prima.

Gli ingredienti classici dei film dei supereroi ci sono tutti: un uomo comune che per un caso più o meno fortuito si trova ad avere una straordinaria forza e grandi poteri, una storia d'amore con una fanciulla fragile che è però determinante perché l'eroe prenda consapevolezza del suo ruolo, un cattivo egocentrico e folle che finirà per combattere ad armi pari con il supereroe.

Tutto questo però viene calato nella più becera romanità: il film è ambientato tra Tor Bella Monaca e lo Stadio Olimpico (passando per centri commerciali, spazi abbandonati, palazzoni e autobus di periferia). Il risultato - vi assicuro - è quasi surreale, e gli stessi autori lo maneggiamo con quel disincanto, quell'ironia, ma - devo dire - anche quell'affetto che rendono questo progetto vincente.

Il nostro supereroe è Enzo Ceccotti (un Claudio Santamaria bravo sebbene con l'aria un po' troppo da cane bastonato), un piccolo delinquente di periferia, che vive di furti ed espedienti, e poi torna nella sua squallidissima casa in un palazzone di Tor Bella Monaca, dove passa il tempo mangiando budini alla vaniglia e guardando film porno. Un giorno - fuggendo dai poliziotti - cade nel Tevere e finisce in un bidone di scorie radioattive: il giorno dopo si accorgerà di aver acquisito una forza sovrumana. Da qui in poi assistiamo al percorso umano di questo eroe coatto che prima utilizza i suoi poteri per delinquere (scardina un intero bancomat, diventanto il mito della periferia romana); poi si trova suo malgrado a doversi occupare di Alessia (una notevolissima Ilenia Pastorelli, che però un po' ricorda Micaela Ramazzotti), la figlia del suo vicino di casa morto ammazzato, una ragazza fragile e un po' fuori di zucca, che è appassionata di Jeeg Robot (cosicché identifica Enzo con Iroshi Sheba); infine decide di usare la sua forza contro il cattivo di turno, lo Zingaro (un sempre strepitoso Luca Marinelli), un delinquente elegante, malato di protagonismo, nostalgico della sua partecipazione a Buona domenica, che è una via di mezzo tra la follia di Joker e quella del Buffalo Bill de Il silenzio degli innocenti.

Nel suo insieme, è evidente che si tratta di un film a basso costo (gli effetti speciali sono quasi homemade), ma il regista fa di questo un punto di forza, trasformando la patina glamour dei supereroi Marvel nell'universo sgarrupato di Enzo Ceccotti. E questo gioco è talmente coinvolgente per lo spettatore che, durante la visione, si ride moltissimo (e non mi capitava da tanto che la gente alla fine del film applaudisse allo schermo inanimato, in cui i titoli di coda scorrono sulle note di una slowed cover della sigla del cartone giapponese Jeeg Robot). Però nel film c'è anche sentimento e romanticismo, com'è giusto che sia, e io - cuore tenero (talvolta!) - qualche lacrimuccia l'ho pure versata.

Insomma, capisco che ora tutti gli snob di casa nostra (non sopportando tutti questi feedback positivi che leggo un po' ovunque) cominceranno a distruggere e a sminuire le qualità di questo film, ma io sono contenta di poter dire che Mainetti ha colto nel segno e che bisogna sempre salutare con favore qualcosa di nuovo (sebbene con questa patina localistica molto forte) nel nostro panorama cinematografico.

Voto: 3,5/5


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