mercoledì 21 ottobre 2015

Freeheld = Amore, giustizia, uguaglianza

È iniziata la Festa del cinema di Roma e io mi sono dotata di un certo numero di biglietti che occuperanno quasi tutto il mio tempo libero della settimana dal 17 al 24 ottobre.

Ad alcuni film che volevo vedere ho dovuto rinunciare perché non erano compatibili con il resto della mia vita, in altri casi ho dovuto accettare un compromesso nella scelta, ma alla fine sono felicissima che la mia settimana cinematografica abbia avuto inizio.

Il primo film che vado a vedere è l'americano Freeheld, che il regista Peter Sollett ha tratto dal documentario omonimo dedicato alla storia vera di Laurel Hester, una detective cui nel 2002 venne diagnosticato un cancro incurabile ai polmoni e decise di avviare una battaglia legale contro la Contea affinché i benefits pensionistici fossero trasferiti alla sua giovane compagna, Stacie Andree.

Freeheld appartiene di diritto alla categoria dei film "stand up for your rights" in versione melodramma. Ora, sia chiaro, qui non c'è nulla di inventato veramente, e la vicenda di queste due donne - richiamata anche dalle foto vere che passano sui titoli di coda - è stata un passo importante nella storia del riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali negli Stati Uniti fino al recente pronunciamento della Corte Suprema che ha esteso il diritto al matrimonio a tutti, e dunque anche a persone dello stesso sesso.

E dunque, in quanto operazione di advocacy sempre necessaria ovunque, credo si tratti di un film che merita un plauso. Però, dovendo parlare anche dell'aspetto cinematografico, non posso tacere dei suoi limiti.

Julianne Moore ed Ellen Page sono molto brave nei loro ruoli (direi la prima soprattutto nella parte drammatica del film, la seconda invece molto meglio nella parte iniziale, più leggera), per quanto improbabili come coppia e, per vari motivi, poco coinvolgenti (anche se poi a guardare le foto delle due donne reali protagoniste di questa storia l'inverosimilità si ridimensiona enormemente).

Il film ci prova anche a non essere solo un melodrammone per far piangere la sala (cosa che riesce a fare benissimo), e dunque nonostante la drammaticità del tema e della situazione durante il film si ride anche parecchio, e non solo grazie all'ebreo attivista gay interpretato da Steve Carell.

Il tutto rimane però fortemente convenzionale nell'impianto, nonché piuttosto monodimensionale e prevedibile nella rappresentazione psicologica dei protagonisti del film, senza guizzi né alcun gioco di luce e ombra.

I giusti si sa dove sono e i cattivi pure; e quando i cattivi cedono non si può far a meno di far partire l'applauso. Insomma, come ho già detto, un'operazione educativa, ma non certo grande cinema.


Voto: 3/5

P.S. Ma Julianne Moore si sta specializzando in ruoli da malata terminale? Comincio a pensare che la sua sia una forma di scaramanzia ;-)

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