martedì 28 gennaio 2014

Still life

Un film perfetto nella misura, senza sbavature, in cui niente appare di troppo, ma neppure il minimalismo risulta insoddisfacente.

Nel titolo, Still life, tutto è racchiuso. Ma non lasciatevi confondere dalla traduzione italiana "natura morta", perché - pur ruotando tutto intorno al tema della solitudine e della morte - non c'è niente di morto in questo film, bensì c'è - come dice il titolo originale - una vita immobile, congelata, nella quale però a ben guardare ci sono moltissime tracce del suo divenire, del suo movimento incessante, quello che continua, anche dopo la sua fine, nei ricordi e nei pensieri di chi rimane.

È su queste tracce che si muove il protagonista del film, John May (l'eccellente Eddie Marsan), che per lavoro si occupa di cercare i parenti di coloro che muoiono in solitudine e di allestire le relative esequie. E lo fa con una pietas e un'empatia straordinarie, che si perpetuano nello sguardo commosso con cui John ogni sera sfoglia l'album in cui ha incollato le fotografie di tutti questi uomini e donne che la vita - per caso, per volontà o per sfortuna - ha un po' lasciato per strada.

Il mondo intorno al protagonista è tutto fotografato come una sequenza di still lives: la sua scrivania, il tavolo dove cena, la strada che percorre tutti i giorni, il posto che occupa nel treno.

La stessa figura di May appare come la quintessenza di una vita congelata in abitudini maniacali.

Sarà la notizia del suo licenziamento per effetto del ridimensionamento del personale dell'ufficio dove lavora ad incrinare - seppure sommessamente - l'immobilità del suo mondo.

John decide di dedicarsi con tutto se stesso al suo ultimo caso, quello di Billy Stoke, forse perché Billy abitava in un appartamento identico al suo, la cui finestra si affaccia proprio di fronte alla finestra del suo appartamento.

Ripercorrere le tracce della vita di quest'uomo che a un certo punto si è perso, scoprirne l'energia vitale che lo ha accompagnato per buona parte di essa, riviverne la storia attraverso i ricordi commossi di un suo collega di lavoro, della sua ex compagna, dei due amici alcolisti, di un ex commilitone, della figlia Kelly (Joanne Froggatt), farà fluire in John una linfa vitale nuova e calda, capace di scongelare lo spesso strato di ghiaccio da cui è rivestito. La missione si potrà dire compiuta quando ognuno di loro avrà compreso l'importanza di non lasciar andare i ricordi, che sono i segni che ognuno di noi lascia dietro di sé.

La nostra still life continua a prendere vita ogni volta che qualcuno dà senso alle tracce che abbiamo disseminato intorno a noi. Nessuna solitudine è veramente tale se si lavora con passione a non far spezzare e a ricostruire continuamente la tela - anche esile - delle connessioni che invisibilmente uniscono le persone nel significato e nel valore profondo della loro natura umana.

Pura poesia e commozione. Non facile, ma profonda.
Bravissimo Uberto Pasolini.

Voto, 4,5/5

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