martedì 25 ottobre 2011

Arrietty

Piccoli Miyazaki crescono. E così, da un progetto e una sceneggiatura di Hayao Miyazaki, Hiromasa Yonebayashi ha realizzato un film che è perfettamente congruente con la poetica e lo stile del grande maestro nipponico.

Protagonista è Arrietty, una apparentemente normalissima adolescente che vive con padre e madre in una casetta dove non manca nulla, e che si rifugia nella sua stanzetta che sembra un pezzo di bosco. In realtà Arrietty non è un’adolescente qualunque, bensì appartiene al popolo dei "prendinprestito", creature alte come un palmo di mano che costruiscono le loro case con i materiali di scarto degli umani, attenti a non farsi mai vedere da loro per evitare di suscitarne la morbosa curiosità e gli eventuali rischi per la propria sopravvivenza.

E infatti i problemi per Arrietty cominciano quando nella casa sotto il cui pavimento vive la sua famiglia arriva Sho, un ragazzino umano, nipote della proprietaria, malato di cuore, che ne avverte immediatamente la presenza e cerca di interagire con lei.

Le peripezie non mancheranno quando la governante della casa, un po’ stupida e ignorante, si metterà in testa di catturare questi gnomi-ladri, andando a sconvolgere il sereno equilibrio della famiglia di Arrietty.

Grazie all’aiuto di Sho e di un altro rappresentante del popolo dei “prendinprestito” tutto finirà per il meglio, sebbene Arrietty e la sua famiglia saranno destinati a cercare una nuova casa.

Quello di Miyazaki e dei suoi allievi è un mondo che ha sempre delle caratteristiche ben precise: una fortissima presenza dell’elemento naturalistico, anche quando – come in questo caso – la storia è sostanzialmente ambientata nella periferia di una grande città, una natura che quasi sempre è oltraggiata o dimenticata dall’uomo; il protagonismo assoluto di bambini e anziani, gli uni a rappresentare una sguardo ancora innocente e coraggioso sul mondo, gli altri una saggezza antica e un connubio col mondo naturale e soprannaturale, qualità che in entrambi i casi fanno difetto all’età adulta troppo legata alle necessità materiali e sottomessa al predominio assoluto della ragione; la cattiveria umana come conseguenza della stupidità e dell’ignoranza, ovvero del torto subito; il rapporto degli esseri umani con il diverso, il fantastico, il soprannaturale, di solito rifiutato e spesso minacciato nella sua stessa sopravvivenza.

Miyazaki sembra sempre richiamare una specie di età dell’oro, un’epoca mitica in cui l’umanità viveva in armonia con la natura e l’universo in tutte le sue manifestazioni ed aveva – proprio per questo – accesso ai mondi nascosti e soprannaturali che oggi gli sono preclusi.

Ma questo richiamo che all’inizio della sua carriera si tramutava in denuncia e in veri e propri manifesti sociali come in Nausicaa della Valle del vento, e che poi si è tradotto negli incubi tetri e angoscianti della Chihiro de La città incantata e nel pessimismo metafisico del Castello errante di Howl, negli ultimi film sembra essersi come diluito in una visione più rassegnata e pacificata, quasi ottimista del mondo e delle sue prospettive, una visione che era riconoscibile anche in alcuni film del passato come Il mio vicino Totoro.

Miyazaki sembra quasi dirci che c’è ancora speranza e che quella speranza sta nella capacità che i bambini hanno di ascoltare e di essere in comunione con l’universo circostante, nel loro entusiasmo e nella loro voglia di vivere e di ricominciare, come i protagonisti di questo film ma anche quelli di lavori precedenti come Ponyo sulla scogliera.

Non a caso in questi ultimi film sfornati dallo studio Ghibli tornano prepotenti l’umorismo e la caratterizzazione più tipici dei cartoni giapponesi (e che ci ricordano tanto la nostra infanzia anni ’80) e che, ad esempio, erano presenti in film come Porco rosso.

Forse è arrivato anche per Miyazaki il momento di ricomporre i turbamenti e la violenza emotiva del passato in un presente sospeso in una dimensione intermedia tra reale e onirico, dove in fondo tutto torna al suo posto.

Il pubblico dei più piccoli – schiacciato dalla complessità narrativa e di significati di film come La città incantata – in questo film ammutolisce catturato dalla storia dei “prendinprestito” che si muovono come antichi esploratori in un mondo in cui tutto è enorme e anche catturare una zolletta di zucchero è un’impresa che richiede coraggio e fantasia, e scoppia in fragorose risate di fronte alle “gag” di alcuni dei personaggi.

Certo, per me la visionarietà di film come La città incantata e Il castello errante di Howl, cui fanno eco alcune invenzioni contenute in Ponyo sulla scogliera, è un’inarrivabile vetta della filmografia del maestro nipponico, di fronte alla quale questa recente svolta dello studio Ghibli sa di più convenzionale.

Detto questo, non mi perderei uno di questi cartoni praticamente per nulla al mondo. Anche quando mi tocca in sorte di andare a vederli al Cinema dei piccoli (il più piccolo edificio del mondo adibito a cinema), dove in uno spazio tutto a misura di bambino (dalle sedioline ai bagni) sono attorniata da una quarantina di bimbi urlanti e sgranocchianti patatine e pop corn. Ma in fondo io lì mi sento molto a mio agio.

Se Miyazaki mi vedesse mi strizzerebbe certamente l’occhio.

Voto: 3,5/5

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