sabato 31 gennaio 2009

Si può fare


Alla fine del film è scattato l’applauso, come non mi capitava da anni al di fuori dei festival del cinema. Applauso nato dal cuore e da una vera e sincera commozione.
“Si può fare” è un manifesto socio-politico, e come tale è inevitabilmente una semplificazione, al punto da assumere i toni di una favola agrodolce ma dal lieto fine. Ed è proprio per questo che uscendo dal cinema il nostro spirito cinico e disfattista ci spinge a smontare l’emozione, a mettere in discussione il contenuto, a razionalizzare il sentimento.
Noi, uomini e donne del XXI secolo, non ci facciamo catturare così facilmente dagli ideali e ne vediamo sempre il lato utopistico o cinico.
Noi, uomini e donne del XXI secolo, ci siamo affrancati dalle ideologie e anche dagli ideali.
Viviamo per il presente e ci sentiamo intelligenti perché a differenza dei nostri genitori non crediamo più alle favole.
E “Si può fare” è una favola a cui – appena usciti dal cinema – non intendiamo credere.
Eppure, quel film ci ha mosso, anzi commosso, ossia spinti tutti insieme verso un sentimento.
E forse noi gente altamente tecnologica e all’avanguardia abbiamo bisogno proprio di questo. Di credere ancora in qualcosa. Che non sia qualcosa di parte, bensì ciò che ci unisce come umanità: l’idea dell’integrazione della diversità, la capacità di inseguire un sogno, la dignità del lavoro, la speranza del futuro, l’orgoglio di poter essere ancora idealisti…
Grazie dunque a questo piccolo film per avermi ricordato di non soffocare mai l’idealità e di difenderla dal vittimismo, dal qualunquismo, dalla paura, dal disfattismo, dal cinismo, dalla superficialità e da tutto ciò che può minarne la sopravvivenza.
Voto: 4/5

Valzer con Bashir


Molto bello e originale dal punto di vista grafico e visivo (soggetti bidimensionali in un contesto tridimensionale e molto realistico, con una sensazione angosciante e straniente). Interessante anche il punto di vista psicanalitico e onirico con cui ci si avvicina agli orrori della guerra... Riguardo al contenuto, la follia della guerra che il film trasmette certo non è una novità , ma fa sempre bene...
Voto: 3,5/5

Australia


Vedere "Australia" e' come vedere 2 o 3 film tutti insieme... Un film eccessivo, carico, strabordante nei contenuti, nella recitazione, nella fotografia... ma Baz Luhrmann e' cosi' ed e' per questo che mi piace. Anzi diro' di piu': me lo aspettavo piu' eccessivo e forse un'ulteriore esagerazione che togliesse il residuo presunto realismo avrebbe fatto bene al film. Se dovessi esprimere un giudizio riassuntivo direi che giudico diversamente i due piani di lettura di cui secondo me si compone il film: il piano del colossal secondo me e' riuscito solo in parte (nella prima forse), il piano metacinematografico, quello delle citazioni cinematografiche (nelle scene, nella recitazione, negli stili ecc.) e' perfettamente riuscito... e li' c'e' il miglior Luhrmann, quello di Moulin Rouge. Sugli interpreti vorrei esprimere una buona parola: non e' facile stare dietro a Luhrmann nei rimandi e nelle rievocazioni cinematografiche e secondo me Nicole Kidman e Hugh Jackman ci riescono abbastanza, soprattutto in alcuni momenti.
Voto: 3,5/5

Vuoti a rendere


Questo film uscito in Italia con il titolo "Vuoti a rendere" (per una volta meno tragico delle solite traduzioni dei film stranieri), e' un piccolo gioiellino... Tratta un tema delicato e complesso, l'invecchiamento della popolazione in una situazione di vitalita' che si spinge sempre piu' avanti nella vita e diventa sempre piu' difficile da gestire... Il tema e' affrontato nella modalita' della commedia leggera ma intelligente. Non tutto tiene, alcune cose sono troppo insistite (le visioni in sogno del protagonista), ma la sceneggiatura e' ottima, alcune battute sono davvero fulminanti... E il regista riesce anche a farsi pubblicita' richiamando il suo precedente film "Kolia"... E lo slogan "A volte per riavere la vita che desideri devi ricominciare tutto daccapo" soggettivamente mi piace moltissimo.
Voto: 3,5/5

Milk


Davvero un gran bel film... Da un punto di vista cinematografico ho trovato fantastica la mescolanza tra immagini di repertorio e fiction, che a tratti crea anche qualche dubbio di attribuzione; belli anche i fermi immagine fotografici, il montaggio, i colori, la straordinaria ricostruzione degli anni Settanta... Grandiosi gli interpreti; qualche volta ho avuto la sensazione che alcuni fossero un po' sopra le righe (ad esempio di fronte alll'insistenza del movimento del braccio di Sean Penn durante i discorsi pubblici), ma sui titoli di coda, vedendo gli originali, ho capito che la recitazione era il risultato di un sapiente studio dei personaggi reali... Per quanto riguarda i contenuti, il film e' forte, realistico, commovente, ovviamente si avvantaggia della forza di una vicenda realmente accaduta. Triste verificare che i discorsi degli oppositori non siano cambiati a trent'anni di distanza, triste riflettere sul fatto che nonostante i progressi tanto e' ancora fermo li'; e questi ultimi non sono certo anni illuminati da questo punto di vista. Semmai e' aumentata l'ipocrisia del politically correct e del gay friendly, che nasconde invece ancora paura e diffidenza verso cio' che non si conosce e che dissimula dietro presunti valori morali universali un profondo razzismo. E il messaggio del film e' sempre e soltanto uno, la speranza del cambiamento, quella che America ed Europa incarnano oggi in Obama e che probabilmente dara' a Sean Penn e al film un posto di primo piano nella notte degli Oscar.
Voto: 4/5

Il dubbio


Sono andata a vedere a teatro Il dubbio, l'opera teatrale scritta da John Patrick Shanley, che ha vinto il premio Pulitzer e da cui e' stato tratto il film che sta per uscire nelle sale italiane (con Philip Seymour Hoffman e Meryl Streep). A teatro e' in giro gia' da un po' una versione italiana del testo teatrale adattata da Margaret Mazzantini per la regia di Sergio Castellitto che ha come protagonisti Stefano Accorsi e Lucilla Morlacchi (con la giovane suora intepretata da Alice Bachi). Il testo teatrale (anche se a dirla tutta bisognerebbe leggerlo in originale) è piuttosto interessante (seppure a volte discontinuo) ed e' capace di insinuare nello spettatore, che all'inizio è animato da una profonda certezza della verita', un crescente, ambiguo e strisciante senso di insicurezza che rimarra' insoluto... Ho letto da qualche parte in riferimento ad un'altra opera l'espressione "prodotto del post-11 settembre"; direi che probabilmente lo stesso si puo' dire di questo testo teatrale, scritto dopo il settembre 2001 ma ambientato nel post-assassinio di Kennedy, un altro momento delicato della storia americana e non solo.
La proposta di Castellitto e' caratterizzata da una bella scenografia con il motivo della croce di luce che si compone e si scompone sullo sfondo, da musiche volutamente dissonanti rispetto al clima un po' cupo della scuola parrocchiale (mi chiedo se facciano parte delle scelte originali dell'autore) e da una recitazione credo volutamente sopra le righe, a tratti quasi caricaturale. La scelta di recitazione e' forse anch'essa imposta dal modo in cui i personaggi sono delineati nel testo o forse e' scelta registica o attoriale; in ogni caso essa ha un effetto in parte straniante che personalmente mi e' piuttosto piaciuto perche' ha tolto almeno in parte alla storia il suo carattere realistico per dargli un valore simbolico.
All'uscita dal teatro molti spettatori si lamentavano di questa scelta, apprezzando la recitazione piu' piana e realistica di Accorsi. Mi sono chiesta se non ci siamo ormai talmente abituati al linguaggio omogeneo e omogeneizzante della televisione che non riusciamo piu' ad apprezzare registri diversi...
Sono curiosa a questo punto di fare il confronto con la versione hollywodiana e capire come questi piani e registri verranno gestiti...
Voto: 3/5